cooperativa Punto d’approdo
Trento - Trentino Alto Adige/Süd Tirol

Comunita
Settore
Welfare
donne,violenza,sociale
1993
Nasce nel
Tra le donne vittime

Chi subisce la violenza del partner o di uno sfruttatore ha bisogno di ascolto, comprensione, calore umano. E di un luogo dove proteggere se stessa e i propri figli. La testimonianza della cooperatrice Lucia Tomazzoni

Faccio un po’ fatica a mettermi alla finestra e a raccontare la mia esperienza di cooperatrice, perché aiutare le donne vittime di violenza abitua a mantenere un basso profilo per tutelare la privacy e qualche volta la vita stessa delle nostre ospiti. Quando le donne bussano alle porte della nostra cooperativa, la Punto di Approdo di Rovereto, siamo spesso l’ultima spiaggia per loro. Significa che dietro a quei volti tumefatti ci sono anni di dolore, di paura e soprattutto di solitudine. Sociale e famigliare. Il nostro obiettivo è fornire loro il primo soccorso, dare accoglienza, riparo, aiuto, per poi stimolarle a acquisire o riacquisire autonomia di pensiero e di azione. Mediamente si trattengono nelle nostre strutture 7-8 mesi, ma i casi sono diversi perché le persone hanno storie, strumenti e capacità diverse. In questi anni di impegno porto nel mio cuore tante storie a lieto fine, di rinascita, di autodeterminazione.
Non è scontato: la povertà e la disperazione sono pessime consigliere. Ho incisi nella mente i volti dei bambini entrati nelle nostre strutture traumatizzati, con disturbi nel sonno, incapaci di alimentarsi. Il loro recupero, i loro sorrisi. Perché il tempo e un clima sereno aiutano a dimenticare. Ma piango ancora pensando a ‘Llambina, la bambina slava riuscita a sfuggire dai sui aguzzini che l’avevano strappata alle corse nei prati della sua infanzia per farla crescere prostituta sull’asfalto delle nostre strade. L’avevamo accolta, conosciuta, aiutata. Ci eravamo affezionati al suo cuore di fanciulla. Poi il tribunale dei minori ne ha decretato l’espulsione. Ma a casa non è mai arrivata. I suoi sfruttatori non le hanno concesso il lusso di tornare bambina. Troppo grave lo sgarro di desiderare un destino diverso da quello così misero che altri avevano scelto per lei.
Altre volte è capitato che le donne nostre ospiti che si sono opposte ai loro sfruttatori sono state picchiate selvaggiamente, ma quella di ‘Llambina è una storia che non posso dimenticare. Per questo abbiamo chiamato come lei il progetto rivolto alle persone vittime di tratta, costrette a prostituirsi sulle strade italiane. Ma parto dall’inizio. L’idea di creare una risposta strutturata alle emergenze delle donne vittime di violenza è venuta ad un gruppo di amici, nel 1986. Uno di loro aveva dato riparo ad una conoscente picchiata dal marito e sottolineava come mancassero, nella nostra città, strutture e strumenti per aiutare a lungo termine, non vincolati insomma al buon cuore e alla disponibilità temporanea delle persone singole. Grazie all’aiuto dell’assessore comunale competente di allora, molto sensibile a questi temi, fondammo un’associazione, supportata da tanto volontariato, una suora e una dipendente.
Da subito mettemmo a disposizione una struttura di accoglienza, occupata da 6 donne in emergenza. In poco tempo, però, le richieste diventarono molte e dovemmo ingrandirci. La dimensione dell’associazione non bastava, così ci trasformammo in cooperativa e iniziammo ad utilizzare i servizi che Federazione e Consolida mettevano a disposizione. Oggi contiamo 32 dipendenti e offriamo alla comunità tre strutture differenziate a seconda dei bisogni specifici. Una, casa Valbusa, si occupa di donne con disagio. La seconda, casa Fiordaliso, è rivolta alle madri vittime e ai loro bambini, per i quali abbiamo creato uno spazio su misura per l’accoglienza e la riabilitazione psico-affettiva. Il terzo progetto si chiama ‘Llambina e di questo vi ho già raccontato. Nel tempo abbiamo progettato ed attivato dei laboratori funzionali al recupero all’autonomia delle nostre ospiti, per avvicinarle al lavoro, per insegnare loro la cura dei figli, per fornire quelle nozioni di base sul rispetto di se stesse. Grazie all’aiuto di operatori qualificati proponiamo alle nostre ospiti attività nel campo della cucina (catering, confezionamento alimenti, decorazione uova pasquali ecc.) e dell’artigianato artistico (decorazione scatole, creazione piccoli oggetti di utilità). Questi laboratori lavorano bene, al punto che si mantengono per il 60% grazie ai ricavi che essi stessi maturano. Quando cerco di individuare il momento esatto in cui è nata in me la scintilla che mi ha spinto ad impegnarmi in questo campo penso subito a mia madre, che mi ha educata a cercare di essere di aiuto per gli altri. Provengo da una famiglia semplice: madre casalinga e padre operaio. Ma ricordo bene quando una vicina consegnò tra le braccia di mia mamma una neonata di pochi giorni, chiedendole di occuparsene, perché i suoi genitori non erano in grado di farlo. Restò con noi cinque anni e lei se ne prese cura come se fosse sua.
Quando riesco ad aiutare qualcuno sento lo stesso calore di allora. Quando diventai presidente della cooperativa avevo un lavoro, un marito molto impegnato (prima sindaco di Rovereto e poi Senatore della Repubblica ndr) e due figli bravi a scuola, che non mi hanno mai dato problemi. Mi dissero: “Fai tu la presidente, è solo un riferimento per le carte”. Ma non fu così che andarono le cose. Le operatrici allora non potevano coprire tutte le notti, e l’apertura 24 ore su 24 era un requisito necessario per attività come la nostra. Quindi mi trovai anche io a coprire dei turni notturni di volontariato e a gestire delle emergenze. Il tempo di una doccia e via al lavoro con le occhiaie. Ma sono felice di averlo fatto e lo rifarei. Solo vedendo in prima persona di cosa hanno bisogno le donne che si rivolgono a noi possiamo trovare gli stimoli e l’energia per progettare e fornire risposte strutturate. Partendo dall’ascolto, dalla comprensione, fino ai bisogni materiali.
Ricordo di donne che suonavano al campanello in camicia da notte, con una borsa di nylon in una mano e un bambino nell’altra. Gli occhi fissi a terra e le spalle ancora tremanti. La mia famiglia ha sempre compreso e condiviso questa mia spinta altruistica e mi ha sempre sostenuta. E questo ha dato alla mia forza interiore quella scintilla necessaria per continuare a fare bene.