cooperativa
Muratori di San Felice sul Panaro
Modena - Emilia Romagna
Un pezzo di vita insieme, una storia fatta di abnegazione e tanta amicizia
La storia di questa cooperativa di muratori è affidata alla testimonianza del socio Marco Guicciardi.
La domenica è iniziata bruscamente poco dopo le quattro. Delle ore immediatamente successive ora, a distanza di anni, non posso che trasferire un ricordo; ma il ricordo non è la stessa cosa della realtà, è un’altra cosa, costruita dalla propria mente, spesso a proprio uso e consumo. Così che adesso mi pare d’aver rimosso la paura di quegli interminabili istanti, anzi se questo sesto senso casomai avesse una funzione protettiva potrei dire che essa non è stata adrenalina ma piuttosto un farmaco a lento rilascio, servito a tenerci lontano dalle nostre case e dai luoghi chiusi per diversi mesi.
Dunque dei momenti immediatamente successivi tengo a mente sensazioni quasi avulse dal contesto, ad esempio come il motore della natura abbia perfettamente funzionato nonostante; l’arancio dell’alba ha spaccato come nulla fosse il minuto, così come versi e squittii circostanti non sono stati interrotti o subìto ritardi. Ricordo le telefonate lì per lì ricevute, ora soltanto qualche recriminazione nei confronti degli assenti ingiustificati ma come una nota sul registro di classe, che nessuno leggerà. In tarda mattinata ho raggiunto la sede sociale; nelle giornate a seguire ci si trovava sempre lì, con vari colleghi quasi a rispettare paradossalmente l’orario di lavoro; ritengo non abbiamo intuito subito la gravità dei danni e quindi essere lì, giorno dopo giorno, era come vegliare al capezzale di un amico malato sperando di percepire qualche segnale di miglioramento; anzi la sede sociale assomigliava piuttosto a quegli enormi mammiferi marini che per insondabili ragioni si arenano sulla spiaggia; i nostri sguardi sembravano secchi d’acqua gettati su quel cetaceo enorme, certo avventati ed inutili come può esserlo solo un gesto quasi disperato, dettato da una situazione ineluttabile. La sede era un organismo vivente, ci accoglieva quotidianamente ed esprimeva agli altri, più di ogni discorso, la nostra identità; era a tutti gli effetti nostra, di noi soci lavoratori attuali ma anche frutto concreto, prova provata del lavoro delle precedenti generazioni dei soci via via avvicendati dal 1921; un dolore inconfessabile, una profonda, segreta ferita quando è stato chiaro come fosse inevitabile procedere, nell’amarezza più profonda, alla sua totale demolizione a causa dei danni irreversibili subiti.
È facile dire come la vista delle macchine operatrici che riducevano questo corpo brandello dopo brandello assomigliasse a morsi; qualcuno di noi ha evitato, per quanto possibile, questo spettacolo; altri invece hanno assistito passo dopo passo e si sono comportati come quando accusiamo un dolore in qualche parte del nostro corpo e non riusciamo, ogni minuto che passa, a ripetere il movimento che genera questo dolore. Talvolta vi sarà capitato d’incrociare la casa della vostra adolescenza, la scuola che avete frequentato ed esservi accorti che quei luoghi erano così profondamente parte di voi che senza non sareste in grado di immaginarvi così come siete; ebbene ho pensato poi più volte al significato di questa sottrazione forzata che elimina del tutto gli spazi fisici e i luoghi sostituendoli col nulla; ho realizzato che potesse assomigliare ad un lutto, ma non ero del tutto convinto; col passare dei giorni e degli anni questa sottrazione forzata assomiglia più ad un’assenza, un abbandono, ad una storia d’amore recisa nostro malgrado; come chiunque possieda una cosa, per sapere a priori quel che accadrebbe se cessasse un attimo di possederla, non fa altro che rimuoverla dalla propria mente, lasciando tutto il resto al suo posto e nel medesimo stato; ebbene invece questa sottrazione forzata, questa assenza non era una semplice mancanza parziale ma uno sconvolgimento di tutto il resto, uno stato nuovo che non si poteva prevedere in base a quello che lo precedeva.